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16 Aprile 2024

Apprendisti stregoni

di Vittorio Lussana
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Apprendisti stregoni

Un’Europa a guida conservatrice ha imposto una politica di rigore che non è ‘ricaduta’ solamente sulla capacità di ogni singolo Stato-membro a impostare politiche ‘sviluppiste’, cioè caratterizzate da forti investimenti pubblici, bensì e soprattutto sulle potenzialità di spesa dei ceti ‘medi’, ridefinendo in senso tipicamente ‘classista’ l’intera fotografia ‘panoramica’ dell’Unione europea

La linea politica del nuovo segretario nazionale della Lega Nord, Matteo Salvini, è basata su una serie di presupposti ‘più furbi che belli’. Con un mondo liberale ancora ‘impantanato’ in un ‘berlusconismo’ ormai imbolsito e stanco e con una destra dimostratasi palesemente contigua ad ambienti inqualificabili e di assai dubbia moralità, il cosiddetto ‘Uomo qualunque’ italiano rischia di finire tra le braccia di questo astuto esponente milanese, che ha saputo ‘spostare’ l’indirizzo politico del proprio movimento da un regionalismo folcloristico e incolto, a un nazionalismo che confonde gli errori dell’Unione europea con i ‘guasti’ causati dalla globalizzazione, incapace di inquadrare gli squilibri storici dei fenomeni migratori, che non comprende praticamente nulla della macroeconomia moderna.
Le basi economiche di Salvini sono drammaticamente deficitarie, soprattutto se analizzate sullo spicciolo ‘terreno’ microeconomico: da tempo, questo esponente politico ha organizzato una campagna ‘No Euro’ che lo sta collocando sul minaccioso fronte protestatario dell’ultradestra europea. Si tratta di un errore grossolano, gravido di conseguenze che potrebbero rivelarsi pesantissime per l’economia italiana. In tale schieramento, Matteo Salvini non è solo: anche Beppe Grillo ha spesso accusato la moneta attualmente più robusta del pianeta, l’Euro, facendo gran confusione tra crisi economica globale e riforme strutturali ‘sovranazionali’. Una moneta ‘forte’ certamente non aiuta le esportazioni. Ma proprio questa sua caratteristica avrebbe dovuto generare una serie di investimenti ‘interni’ - quelli stimolati, per esempio, dai Governi tedeschi di Gerhard Schroeder o della stessa Angela Merkel nella vecchia Germania dell’est - in grado di rigenerare mercati interni e interi comparti industriali. Con una moneta di elevato valore di cambio, infatti, il ‘nocciolo’ econometrico avrebbe dovuto essere ‘la determinazione del prezzo’ delle merci. Ovvero, come peraltro si insegna sin dai primi anni nelle facoltà universitarie di Economia e commercio, una moneta forte obbliga, per definizione, forme di contrattazione finalizzate a individuare il ‘prezzo di equilibrio’ tra domanda e offerta di beni e servizi. La qual cosa sottende, in termini teorici, persino la possibilità che il prezzo di numerosi prodotti, in un regime di concorrenza perfetta, possa addirittura ‘scendere’, anziché salire.
In Italia è accaduto esattamente il contrario: con il cambio ‘mille lire=un euro’, determinato da una forma gravissima di mancati controlli di ‘calmieramento’ dei prezzi al consumo, si è imposta sin da subito una circolazione monetaria assai ‘rallentata’, che ha reso sostanzialmente impossibile l’incontro tra la curva di domanda e quella dell’offerta. Insomma, i prezzi di numerose merci qui da noi hanno subito incrementi 3-4 volte superiori rispetto alla gran parte degli altri Paesi dell’Ue, compresa la Germania. Sono dati che si possono verificare facilmente: dai collutori ai dentifrici, dai medicinali ai giocattoli per bambini, tutto o quasi in Italia viene presentato sui mercati a prezzi maggiorati. Chi doveva effettuare i controlli del caso - al limite prevedendo un più lungo periodo di ‘doppia circolazione’ monetaria - ovvero i Governi di centrodestra sostenuti proprio dalla Lega Nord tra gli anni 2002–2006 - non si è minimamente preoccupato di effettuarli. Ciò ha incentivato un’impennata inflazionistica totalmente squilibrata, che si è quasi subito stabilizzata su un livello ‘medio’ di prezzi praticamente raddoppiati, generando la lunga spirale deflattiva che abbiamo vissuto in questi anni. In Italia, la mancanza di controlli è forse il principale dei problemi, in moltissimi comparti e settori. Esterniamo tale ‘diagnosi’ senza esser mossi da alcun spirito di faziosità, poiché in molti ambiti anche amministrazioni, Giunte ed esecutivi cosiddetti ‘progressisti’ non sono riusciti minimamente a inquadrare la gravità di tale problema: abbiamo dovuto attendere le inchieste di colleghi dalla specchiata capacità professionale quali Riccardo Iacona, Milena Gabanelli e Lucia Annunziata, per riuscire a comprendere come l’Italia risultasse affetta, da nord a sud, da una mentalità ‘pasticciona’ e superficiale.
Nel ‘bailamme’ finanziario globale di questi ultimi anni sono stati commessi - questo è senz’altro vero - alcuni grossi sbagli anche da parte dell’Europa e della sua Banca centrale. Ma si tratta di errori che non soltanto Matteo Salvini fatica a individuare, bensì anche i numerosi rappresentanti di quei Paesi da sempre abituati alla circolazione di ‘divise forti’ come il Marco tedesco, il Fiorino olandese o lo stesso Franco francese dei primi anni ’80 del secolo scorso. Nello specifico, i due principali errori di politica monetaria dell’Europa sono stati i seguenti: una valuta ‘forte’ impone, per definizione, che moltissimi scambi avvengano in moneta ‘metallica’ e non tramite i ‘biglietti di banca’, destinati invece a incentivare il risparmio; in secondo luogo, una ‘divisa’ pesante favorisce un preciso mutamento delle forme di transazione - come in realtà sta già accadendo - tramite carte bancomat, ricaricabili o, più in generale, di addebito di una spesa qualsiasi. Ciò in quanto una vecchia decisione americana del 1971 ha ‘sganciato’ completamente il valore di ogni moneta dalle riserve auree detenute nei ‘caveau’ dalle rispettive Banche centrali di ogni singolo Stato, dando il via a un lungo, ma inesorabile, processo di ‘estinzione’ della moneta stessa - sia cartacea, sia metallica - per l’acquisto dei beni di consumo, anche quelli minori. In alcuni Paesi (in Italia soprattutto, ma anche in Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda), ciò ha comportato un ‘doppio problema’, che si è innestato durante la fase di trapasso dalle vecchie ‘divise’ all’Euro:
a)     una primissima questione che definiremmo di natura ‘psicologico-collettiva’;
b)    un secondo problema di carattere puramente finanziario.
Nel primo caso, la scarsa abitudine, degli italiani in particolare, a trattenere la moneta ‘di ferro’, che nei casi di valuta ad alto peso specifico possiede un proprio potere d’acquisto ‘intrinseco’, ha completamente ribaltato il comportamento e le strategie di spesa dei consumatori, i quali, posti di fronte a un volume ‘cartaceo’ sensibilmente assottigliato, si sono visti costretti a bloccare la velocità di circolazione monetaria e, di conseguenza, i loro stessi consumi; il secondo problema, quello prettamente finanziario, a sua volta ha accelerato quel processo di ‘estinzione’ monetaria determinato, come già accennato, dall’aumento delle tipologie di addebito bancario effettuabili, anche per motivi di tracciabilità fiscale, tramite carte di credito, bancomat e ‘ricaricabili’. Operazioni che hanno costretto i consumatori a trasformare se stessi in ‘calcolatori elettronici viventi’, sempre intenti a compiere complesse operazioni aritmetiche di addizione o sottrazione.
Il primo problema si sarebbe dovuto affrontare attraverso la creazione di biglietti di banca di ‘taglio’ minore (da 1 e 2 euro), in modo da permettere una maggior difesa del potere d’acquisto dei ‘tagli’ cosiddetti ‘medi’, quelli da 10 e da 20 euro, che invece hanno subito un forte depotenziamento in favore di quello da 50 euro, divenuto il vero ‘biglietto-medio’ di scambio (e di ‘cambio’…) commerciale e finanziario; il secondo problema, inoltre, non ha solo eliminato ogni ‘rete protettiva’ di distinzione - o di ‘doppia economia’ - tra beni primari e merci di lusso, che hanno finito con l’entrare tutti a far parte del medesimo ‘calderone’ di consumo. Tale effetto era assolutamente previsto e considerato persino auspicabile, sotto un profilo di ‘omogeneizzazione’ monetaria dell’intera Eurozona, al fine di impedire - come poi avvenuto ugualmente, peraltro - un’Unione a ‘doppia velocità’ macroeconomica: una di serie ‘A’ e una di serie ‘B’. Ma quel che è più grave, esso non è stato minimamente accompagnato da solide politiche di sostegno della domanda di acquisto di beni e servizi primari, o di prima necessità.
Quest’ultimo aspetto rappresenta l’errore principale di un’Europa a guida conservatrice, che ha imposto una politica di rigore che non è ‘ricaduta’ solamente sulla capacità di ogni singolo Stato-membro a impostare politiche ‘sviluppiste’, cioè caratterizzate da forti investimenti pubblici - che avrebbero altresì contribuito a svalutare l’Euro attraverso una maggior circolazione monetaria - bensì e soprattutto sulle potenzialità di spesa dei ceti ‘medi’, che si sono ritrovati improvvisamente ‘proletarizzati’, ridefinendo in senso tipicamente ‘classista’ l’intera fotografia ‘panoramica’ dell’Unione europea. In ogni caso, fermo restando tali errori avvenuti ‘a monte’, lo sbaglio principale, anzi l’errore più ‘marchiano’, è stato commesso qui da noi, non a Bruxelles: un’improvvisa impennata dei prezzi, praticamente un ‘raddoppio’ in ogni settore e tipologia di mercato, che ha finito col combinarsi negativamente con una debolezza della domanda di consumo interna, ridotta sin da subito in stato ‘comatoso’. La curva dell’offerta complessiva è rimasta ‘alta’; e quella della domanda ha finito col toccare praticamente l’asse delle ordinate, generando addirittura il processo contrario a quello inflattivo, cioè la deflazione. Infine, bisogna segnalare, senza ricorrere ad alcuna forma di demonizzazione ideologica ‘no global’, anche la tendenza globale dei mercati finanziari internazionali a tentare operazioni spericolate sotto il profilo speculativo e borsistico (titoli ‘derivati’ di debiti e sofferenze bancarie, o mutui privi di reali garanzie fideiussorie).
La concomitanza di tutti questi fattori ha generato una profonda crisi depressiva dei mercati interni dei Paesi di tutto il mondo, Stati Uniti compresi. E fare una confusione del ‘diavolo’ per mere motivazioni propagandistiche o addirittura demagogiche scaricando ogni responsabilità della lunga recessione mondiale sull’Euro rappresenta un comportamento grave e irresponsabile. Il rigorismo economico contempla e interessa le finanze pubbliche e le condizioni di salute degli Stati, dunque fattori tipicamente macroeconomici, non l’economia reale delle persone, che invece si misura con gli strumenti classici della microeconomia. Matteo Salvini e Beppe Grillo rappresentano una minaccia gravissima per il nostro Paese più per la loro ‘ignoranza’ economica di base, che per le loro tendenze ‘protestatarie’ o di contestazione sociale. Essi sono due veri e propri ‘apprendisti stregoni’, che rischiano di ‘incubare’ una terrificante moltiplicazione dei nostri problemi. Un’eventualità che il popolo italiano non può assolutamente permettersi: avventurarsi in una guerra contro la Francia per la riconquista della Corsica ci costerebbe assai meno! Attenzione, carissimi italiani: le insegne luminose attirano gli ‘allocchi’. I grandi centri commerciali che circondano le periferie delle nostre città sembrano belli da ammirare mentre stiamo guidando tranquillamente in autostrada. Ma se solo si provasse ad allargare lo ‘sguardo’ verso le aree prospicienti a tali ‘cattedrali’ del consumo, ci accorgeremmo in quali lande desolate e degradate esse sono state collocate: quello è il ‘destino’ che rischia il nostro Paese. Ed è in quel tipo di ‘deserto’ che i Grillo e i Salvini vorrebbero, inconsapevolmente, trascinarci.


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Questo articolo è tratto dal numero 8 di Periodico italiano magazine versione sfogliabile

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