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20 Aprile 2024

L’ottusità della Merkel e il ‘New Deal’ europeo

di Vittorio Lussana
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L’ottusità della Merkel e il ‘New Deal’ europeo

Le teorie monetariste di questi ultimi due decenni si sono troppo concentrate sull'inflazione e sul controllo dei tassi di interesse a breve termine. Non comprendere che la crisi economica sta distruggendo, giorno dopo giorno, proprio questo approccio significa dimostrare un’ottusità particolarmente grave, da ‘Testimoni di Geova’ che rifiutano, per puro dogma religioso, una trasfusione di sangue

Dispiace che la signora Angela Merkel non comprenda come la necessità di un cambiamento radicale della politica economica europea sia non soltanto obbligatorio, ma addirittura urgente. Eppure, noi riteniamo che ciò potrebbe essere realizzato in Europa, senza danneggiare la posizione di preminenza economica, politica e monetaria della Repubblica federale tedesca. Negli ultimi 5 anni, i complessi processi di formazione di molte decisioni pubbliche sono risultate favorevoli soprattutto agli interessi di alcune élite economiche e finanziarie, danneggiando l'interesse collettivo europeo. Ma ciò ha creato un forte disagio sociale in quasi tutti i Paesi dell’Ue. In particolar modo in quelli dell’area mediterranea, provocando frustrazione nei cittadini e una forte disaffezione verso i Partiti tradizionali. Se la signora Merkel non comprenderà questo necessario cambiamento di priorità - prima la crescita, poi il rigore - ella non lavorerà “per la regina di Prussia”, ovvero per se stessa, ma finirà con l’alimentare un populismo politico che - come dimostrato dalla situazione francese, o anche da quella italiana - danneggerà principalmente i Partiti conservatori e moderati prima ancora delle sinistre socialdemocratiche. In Italia, per il Partito democratico di Renzi potrebbe risultare tutto sommato indifferente doversi confrontare con Matteo Salvini, anziché con Renato Brunetta. Ma ciò significa che la signora Merkel e il suo banchiere di riferimento, Jens Weidmann, rischiano di ‘segare il ramo’ sul quale è seduta la Cdu e la stessa Germania, non la Spd o l’Unione europea. Le politiche economiche in genere non si modificano solamente perché non funzionano, ma al fine di predisporre un’alternanza tra ‘ricette’ che tendano a un equilibrio del mondo globalizzato. Un ‘New Deal europeo’, che faccia uscire l’Ue dalla lunga recessione attraversata, è dunque un'opzione ormai necessaria, al fine di predisporre un progetto economico continentale che risulti condivisibile per tutti gli Stati membri e che possa generare nuove interrelazioni tra molteplici interessi. E’ ormai giunta l’ora di predisporre questo nuovo grande ‘patto sociale’, in grado di conciliare il capitalismo con la democrazia. Questo 'New Deal europeo' potrebbe servire a risolvere due problemi particolarmente complessi: a) la disoccupazione e la crescita; b) la ‘conciliazione’ definitiva tra capitalismo e democrazia. In buona sostanza, è necessario ripensare, sia da parte delle forze politiche progressiste, sia in quelle conservatrici, il ruolo della politica e quello dei mercati. Le teorie monetariste di questi ultimi due decenni si sono troppo concentrate sull'inflazione e sul controllo dei tassi di interesse a breve termine. Non comprendere che la crisi economica sta distruggendo, giorno dopo giorno, proprio questo approccio significa dimostrare un’ottusità particolarmente grave, da ‘Testimoni di Geova’ che rifiutano, per puro dogma religioso, una trasfusione di sangue. Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha attuato una politica monetaria ‘allentata’ fino a quando non è riuscita a far scendere la disoccupazione entro limiti fisiologici, senza compromettere la velocità di incremento dei prezzi, cioè il suo tasso d’inflazione interno. Ora, la Bce dovrebbe fare qualcosa di simile, poiché la periodica alternanza tra ‘keynesismo’ e monetarismo è il metodo, lo strumento macroeconomico, in grado di mantenere in equilibrio l’intero sistema produttivo globalizzato. La Bce deve iniettare nuovo credito nel sistema. In particolare, in quei settori che da tempo non ricevono più alcun impulso agli investimenti. La mera centralizzazione della politica fiscale non ha giustificato del tutto le conseguenze politiche derivate dal trasferimento di sovranità su tasse e spesa pubblica. Si può anche esautorare lo Stato nazionale della sua capacità di realizzare coesione sociale, ma allora dev’essere l’Unione europea a mettere in campo le sue politiche macroecnomiche in quanto grande soggetto federale, come ha fatto Barack Obama negli Stati Uniti. Occorre, insomma, reinventare nuove politiche macroeconomiche, riequilibrando le ingiustizie e le deformazioni generate dai mercati finanziari. Altrimenti, la logica della grande finanza finirà con l’entrare in linea di collisione con la democrazia. Il solo modo per evitare un simile disastro è dunque la creazione di un nuovo modello continentale, capace di conciliare capitalismo e democrazia sfruttando la capacità di creazione della ricchezza del primo e la logica redistributiva della seconda. Ma per poter far questo, la scelta obbligata diviene quella di creare un nuovo interesse pubblico collettivo europeo, ovvero ‘più’ Unione europea e non ‘meno’. Un progetto comune di New Deal continentale che, se condiviso anche dalla Germania, potrebbe evitare che gli interessi delle élites finanziare e quelli delle grandi multinazionali aprano la strada alle soluzioni più false e semplicistiche - i populismi demagogici e i nazionalismi più reazionari e provinciali - e alla distruttività che tali ideologie hanno dimostrato di possedere lungo l’interno corso di tutta la Storia, moderna e contemporanea.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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